"Let’s change the world" è uno sguardo, un’idea, un auspicio, una necessità; forse è solo un proposito, non la constatazione di chi si illude, ma la speranza di un osservatore ottimista, l’imperativo categorico di chi sente il peso della sostanza dell’uomo e del corso del tempo, di chi osserva armonia e caos, sintonia e contraddizione.
“Per le strade di Manhattan l’uomo di un altro tempo cede ai passanti copie di un giornale a sfondo religioso: è l’ultima chiamata. È fine agosto e l’afa di New York è insopportabile.
Anche a Roma fa caldo, ma è piacevole perché è una bella domenica di marzo, un pomeriggio di Carnevale. A Trastevere, sui gradini di quella che mi sembra una scuola, osservo i piccoli protagonisti del prossimo mondo. Sono sospesi tra un’icona moderna, viva, ma non vitale, ed un manifesto sul muro che ritrae il volto di un rivoluzionario, compresi tra la noia e la gioia.
A San Francisco si respira l’aria della baia; confonde chi arriva da fuori, cambia più volte al giorno quel mondo finito ed immenso che la gente osserva nel suo ciclico movimento. Sul bus c’è chi non smetterà mai di guardare lontano. Osservo sguardi che si incrociano, vanno oltre e si perdono. Fuori, all’improvviso e come di consueto, sta per arrivare il freddo della sera.
È Venerdì Santo, all'ora di pranzo, passeggiando per Parma, incontro Maurizio Zaccardi che mi invita a visitare il suo laboratorio nascosto su in alto a ridosso delle volte della Chiesa di San Rocco. Stupiscono quegli spazi mai immaginati, i loro equilibri precari, l’arte disordinata che si respira insieme al forte odore di tabacco bruciato, di vernici e di legno antico.
In silenzio, in quel fumo sbiancato dai raggi del sole d’aprile, sbiadisce lo sguardo dell’artista intento a contemplare Gesù disteso, inchiodato alla croce.
È la Santa Pasqua in Baviera. Da poco si è celebrata la tradizionale Messa solenne, densa di fumo d’incenso. Al Museo delle Scienze di Monaco una mamma sale una scala che non finisce più col capo coperto dal velo. Suo marito, ìl padre di suo figlio, è già salito. La mamma tiene per mano il piccolo; la salita è ancora lunga e fa sudare.
L’aria di giugno è tiepida e pulita ed è un’altra bella notte sulla scalinata di San Petronio. C’è chi, come me, assapora l’atmosfera romantica di una Bologna che adoro. La notte bolognese rende ingordi di poesia e di amicizia e non ci si può fermare a lungo per contemplarne la grande bellezza: si rischia di perdere qualcosa che sta dietro il prossimo angolo.
A Ferrara sono gli ultimi giorni d’agosto, l’ultima fiammata di una delle estati più calde di sempre. Gli artisti di strada si esibiscono ovunque, c’è tanta gente, ma non c’è chiasso. L’aria sudata della bassa padana odora di zucchero filato, di fritto e di vino. L’afa zittisce tutti. Al centro di questo piccolo mondo, mi accorgo di un abbraccio dolicissimo, di quelli che lasciano un segno per sempre.
La notte di novembre, almeno qui a Parma, sembra non cambiare mai. Esco tardi dall’ufficio, la nebbia ferma un attimo fugace e mi regala un tempo che sembra infinito, ma che è appena un istante ed è solo un bacio. La fotocamera lo imprime con una scossa elettrica. Si sfiorano tiepide le labbra di due innamorati in bicicletta. La nebbia è magia, è fredda, entra nelle ossa, attutisce i suoni, fa sparire i dettagli, ha un odore che non si può descrivere. L’istante diventa puro infinito e cambia il mondo. Gli amanti spariscono. Non so nulla di loro.
Per strada osservo le persone in un mondo che sovente è metafora di se stesso. Mi piace fotografarlo; per ricordarlo, rivederlo e pensare.